15 Yoga felicità, verbo essere e avere.

Quando studiamo una lingua, ad esempio l’Inglese, ma potremo rilevare la cosa anche con il nostro Italiano, ci soffermiamo soprattutto su due verbi in particolare: il verbo essere e il verbo avere.

Non parlo dell’aspetto prettamente grammaticale, ma mi riferisco sopratutto all’ uso sociale che facciamo di questi due predicati.


La vita psichica di un individuo inizia nell’istante in cui nasce la consapevolezza dell’ “IO SONO”.

La vita  interpersonale invece, ovvero l’interazione con gli altri individui che rende l’uomo intrinsecamente diverso dagli animali esordisce nell’ istante che appare il “paradosso dell’ “IO HO”.

E’ interessante ora porre due domande.

Posso fare esperienza dell’avere senza l’essere?

Posso fare esperienza dell’essere senza l’avere?


Se alla prima rispondo con  “NO” alla seconda posso forse ( impegnandomi in un cammino lungo e complesso ) rispondere  “SI”.

Se ci pensiamo, ci  sono   tantissimi esempi di persone che hanno rinunciato ad avere tutto in cambio di una condizione di totale non attaccamento materiale e psichico.


Sicuramente quest’ultima possibilità non è una scelta facile, o meglio non è un opzione  verso cui porta la mente razionale, i sensi e l’istintiva condizione di sopravvivenza.

Ricercare in modo continuo durante la vita la condizione di “Avere” è un modo primordiale di trovare sicurezza, di non vivere nell’incertezza.

E’ lo scoiattolo che fa scorta di nocciole per essere tranquillo durante l’inverno.

E’ l’individuo che accumula per sentirsi sicuro e quindi felice.


L’avere, se lo volessimo leggere in ottica filosofica e’ un po’ “il velo di Maya” che crea la sofferenza dell’individuo. Vivo nell’illusione che il possesso possa darmi la serenità e di conseguenza la felicità.

Ma siamo realmente sicuri che vivere felici dipenda dal vivere sereni?

O è una balla che vogliamo raccontare a noi stessi per evitare di farci le domande scomode?

Mi concentro quindi sull’avere per non dover così pensare al mio essere nel mondo.


L’essere o meglio, l’esser-ci di Martin Heidegger ottiene la consapevolezza in un percorso che nasce dalla paura e dall’angoscia!

Come se sia necessario perdere tutti i punti fermi per capire come stanno veramente le cose e dove sta la vera felicità.


In altre epoche, non così lontane, quando l’individuo era spesso schiavo anche fisicamente, la felicità era di gran lunga più legata all’ concetto di Libertà!

Essere libero rende felici, rende la vita degna d’essere vissuta. Essere “schiavo” è una condizione che non rispecchia la grandiosità dell’animo umano che continuamente pone domande sulla realtà ultima, sulla coscienza, sul’libero arbitrio, sull’etica e via dicendo.

Se l’uomo è libero può autodeterminarsi, se non lo è allora perde la condizione psichica di uomo, ovvero la capacità di riflettere sulla propria essenza e diventa decisamente più vicino all’animale.


Ma quindi vivere una condizione in cui posso avere tutto ciò che voglio vuol dire vivere da schiavo? Da animale?

Dare questa risposta è difficile. Richiede un analisi personale e complessa. Che a mio avviso non tutti possono fare.

Alcuni risponderebbero alla domanda così :” No vuol dire vivere sereni, senza problemi e pensando soprattutto di spassarsela “ beati loro che quindi vivono  “felici”.

O meglio vivono la felicità dei poveri, quella a buon mercato, quella pagabile  con il solo verbo dell’ “avere”.


Conquistare la felicità  con il verbo “essere”  invece è tutt’altra cosa.

E’ soprattutto un incognita. C’è il rischio di fare un buco nell’acqua. 

Adoro da anni la scena dei Simpson in cui Lisa vede Burt felicissimo che   cavalca nudo in groppa a un maiale, e la voce in sottofondo di Marge che ricorda alla figlia :

”Lisa sei troppo intelligente per vivere felice”!


In questi casi un istante di cartone animato può condensare tutto il complesso ragionamento della filosofia pessimistica di Schopenhauer! Fantastico!


Ma torniamo a noi….Alla fine dei conti però è anche vero che comunque si muore tutti! Non c’è differenza, è morto Socrate e Platone come anche chi ha passato una vita da nababbo a oziare  e sommergersi di piaceri.


La realtà è nichilista, stoica, cruda, malinconica. Il tempo è lo spazio ci consumano in un istante. Vivere nella riflessione non ti farà vivere più a lungo ma forse ti farà vivere nel verbo  essere piuttosto che nel verbo avere.

E non è uno meglio dell’altro, è semplicemente diverso.


Dobbiamo solo capire da che parte vogliamo stare, non c’è un meglio o un peggio, c’è solo una diversa prospettiva in base al punto dove decidiamo di fermarci a vedere il paesaggio.


E lo yoga cosa c’entra in tutto questo?

Lo yoga è la possibilità di capire che non c’è nessun paesaggio da osservare.

Buona pratica.







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